L’Armenia tra emorragia, sradicamento e abbandono

27/10/2023

Esiste la realpolitik ma esiste anche la coscienza di un popolo che non merita la cancellazione dalla faccia della terra.

“Dobbiamo parlare di questa meravigliosa piccola nazione che era l’Artsakh e che oggi è scomparsa […] ci sono, nella realtà di questa frazione del popolo armeno che sta vivendo adesso, lezioni che non dovremmo davvero dimenticare. La lezione di che cosa è un genocidio, di come non si tratta solo della distruzione fisica delle persone, ma proprio lo sradicamento dal territorio dove hanno vissuto per millenni, la cancellazione della loro cultura,  della testimonianza della loro realtà, delle tracce della vita che hanno vissuto, loro e i loro antenati. Lì vivevano 120mila persone, con la guerra, sono fuggite in 100mila”. Così, Antonia Arslan, grande  scrittrice e traduttrice italiana d’origini armene, autrice de La masseria delle allodole, ha ricordato in un messaggio video inviato alla rivista Tempi in occasione di un incontro svoltosi di recente a Milano e organizzato alla stessa rivista sul tema dell’esodo del popolo armeno alla luce del conflitto scoppiato ormai due anni che ha visto l’Azerbaigian isolare ed affamare la regione del Nagorno-Karabakh per poi attaccare e distruggere la libera repubblica dell’Artsakh.

Una nazione che ha visto il suo territorio estendersi dalla Cilicia al mar Caspio, sopravvissuta a un genocidio attuato dai militari turchi tra il 1915 ed il 1916 e riconosciuto anche dall’Italia, ora rischia di perdere anche i pochi chilometri. Ma soprattutto deve fare fronte all’ingiustizia di un nuovo esodo di 100mila abitanti che hanno abbandonato le loro case. L’Armenia si ritrova così a dover affrontare una crisi umanitaria da sola dopo che i tentativi di mediazione tra i due Paesi così come gli appelli di pace delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea non hanno portato a risultati concreti. Mentre il Consiglio per i diritti umani riunitosi a Ginevra ha presentato una dichiarazione sottoscritta da 34 paesi, tra cui gli Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania (ma non da Italia, Russia e Turchia), in cui si è espresso sconcerto per quanto accaduto e per le condizioni della popolazione armena, la presidente Ursula von der Leyen volava un anno fa in Azerbaigian per firmare nuovi accordi sul gas e definiva Baku un “partner affidabile”.

Se è vero che esiste la “realpolitik”, e ancora più vero che è necessario difendere il diritto di un popolo che vive la parabola, tutta del cristianesimo orientale, che è lo sradicamento e l’emorragia dalle terre in cui per millenni hanno vissuto queste comunità. L’Armenia non può essere considerato soltanto un Paese prigioniero dagli interesse geo-strategiche e geopolitici. Lì ci sono anche gli antenati di abitanti in fuga che hanno custodito il nostro patrimonio civilizzazionale. Un patrimonio da difendere e da proteggere. Gli interessi passano, la civiltà è ciò che resta. Anche questa è la lezione che impariamo, ascoltando le parole di Antonia Arslan.