Non solo Kiev e Gaza: l’Europa apra gli occhi sul conflitto Armenia-Azerbaigian

26/10/2023

L’Unione Europea ha perso ancora volta una grande occasione di trasformare l’effetto domino della guerra in un effetto domino della pace.

In una recente intervista apparsa su un quotidiano italiano, Marco Minniti, già ministro della Repubblica italiana e attualmente presidente della Fondazione Med-Or, spiegava come si è passati da un mondo bipolare al tentativo di un mondo multi-polare a un mondo”a-polare”. Sono saltati gli equilibri dell’ordine internazionale, e di conseguenza si accendono, come non accadeva da decenni, focolai di guerra strettamente interconnessi fra loro, in contemporanea e in diverse latitudini. In un arco temporale brevissimo, i governi delle medie e grandi potenze si sono dovuti misurare prima con la guerra in Ucraina, ora con quella tra Israele e Hamas. Nel mezzo si è riacceso anche un altro conflitto che era gia iniziato nel 2020: quello tra Azerbaijan e Armenia sulla contesa sull’area del Nagorno-Karabakh (che il governo di Yerevan chiama “Artsakh”) e che ora rischia seriamente di allargarsi in tutto il Caucaso se non si trova un accordo di tregua.

In questo contesto storico che Papa Francesco ha definito “la terza guerra mondiale a pezzi”, dopo i tentativi fallimentari diplomatici in Ucraina e in Israele, l’Unione Europea ha perso ancora volta una grande occasione per costruire la pace in quello che agli occhi dei mezzi di informazione sembra essere un conflitto secondario. Ma non lo è affatto, soprattutto dopo che l’Armenia – paese tradizionalmente alleato della Russia – nell’ultimo periodo si stava progressivamente avvicinando dal punto di vista politico e militare ai paesi europei. E invece, se all’inizio di ottobre, il presidente azero Aliev si era rifiutato di partecipare al vertice europeo di Granada in cui il premier armeno Pashinian lo attendeva per trattare, qualche giorno fa a Teheran, i ministri degli Esteri di Russia, Turchia ed Iran si sono riuniti con i loro colleghi di Azerbaigian ed Armenia per discutere diverse questioni di cooperazione e sicurezza nel Caucaso, in primo luogo come chiudere definitivamente le ostilità fra azeri ed armeni dopo che i primi hanno risolto con le armi la questione del separatismo armeno nella regione, oggi occupata dal governo di Baku. Non a caso, di fronte all’incapacità dell’Unione Europea di contribuire alla costruzione di un piano di pace con un piano diplomatico concreto, la Francia si è sganciata e ha già annunciato che invierà attrezzature militari – principalmente strumenti di ricognizione e difesa aerea – al governo armeno per aiutarlo a difendersi in particolare dopo l’ultimo attacco di un mese fa da parte dell’Azerbaijan che ha costretto oltre 100mila persone di etnia armena a lasciare la propria terra.

È un dovere sostenere l’Armenia, terra cristiana per eccellenza, che in questi ultimi anni ha vissuto sulla pelle del suo popolo crimini di guerra atroci, e visto coi suoi occhi la distruzione distruzione dei suoi simboli, in particolare le chiese. Ma soprattutto evitare un escalation del conflitto con l’Azerbaigian con conseguenze nefaste nel Vicino e Medio Oriente così come nel nostro continente visto che vede in campo attori come Russia, Turchia, Iran e persino Israele. La pace dunque, da Kiev fino a Gaza, passa anche dalla fine della guerra nel Nagorno Karabakh. In un mondo in cui le guerre vengono combattute per procura dalle medie e grandi potenze in territori “marginali”, cioè extra-territoriali, è necessario invertire l’effetto domino della guerra in un effetto domino della pace. Tutte le nazioni coinvolte, devono, e possono fare un passo indietro, rinunciando alle loro ambizioni politiche, nell’interesse di una pace giusta e duratura. E anche l’Europa è chiamata a fare la sua parte.